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CORONAVIRUS NEI BAMBINI

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Dall’inizio di questa terribile pandemia da Coronavirus un solo dato positivo ha alleggerito la tragedia: i bambini, fortunatamente, sono sembrati fin da subito i soggetti in grado di reagire meglio al virus. Ma perché? Cosa succede nei più piccoli?

Lo ha analizzato uno studio dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, insieme all'Università di Padova e all'Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie in una ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Cell Reports,  che identifica per la prima volta le caratteristiche immunologiche dei bambini che meglio reagiscono all'infezione da nuovo coronavirus, riuscendo a debellarla già dopo la prima settimana.

L'indagine ha coinvolto 66 pazienti di età compresa tra 1 e 15 anni ricoverati nel Centro Covid del Bambino Gesù di Palidoro nell'estate del 2020.

La maggior parte dei bambini inseriti nello studio era paucisintomatica a inizio infezione, mentre a una settimana di distanza risultava già asintomatica e clinicamente guarita. Allo studio non hanno preso parte i pazienti che presentavano un quadro severo, come quello della MIS-C. 

Le indagini hanno mostrato come il profilo immunologico dei bambini che già dopo una settimana erano riusciti a neutralizzare il virus, era caratterizzato da una grande quantità di linfociti T e B specifici contro SARS-CoV-2, capaci di riprodursi velocemente una volta entrati in contatto con l'agente patogeno e di produrre un gran numero anticorpi neutralizzanti.

Nei bambini con questo particolare profilo immunologico è stata riscontrata già dopo una settimana una bassissima carica virale (meno di 5 copie virali per microlitro di sangue), tale da annullare di fatto la loro capacità infettiva, dunque la possibilità di contagio, anche in presenza di un tampone ancora positivo.  

La presenza di linfociti T e B specifici contro il Coronavirus, inoltre, appare correlata all'esposizione dei bambini ad altri virus stagionali. I pazienti con la maggiore capacità di sconfiggere rapidamente il SARS-CoV-2, infatti, erano quelli già entrati in contatto, nella loro storia clinica, con un numero elevato di altri virus influenzali.  

Stesso metodo già utilizzato, per esempio, per verificare l'avvenuta immunizzazione del personale ospedaliero del Bambino Gesù in seguito alla recente campagna vaccinale. 

Sul piano delle terapie, infine, conoscere il particolare profilo immunologico del singolo paziente potrebbe consentire, per quelli che presentano sintomi più gravi, di intervenire prima e con farmaci mirati (ad esempio i futuri anticorpi monoclonali), per aiutarli a sconfiggere più facilmente la malattia da SARS-CoV-2.


17/03/2021

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